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Saco vazio não para em pé. Dossier Brasile, parte I

Saco vazio não para em pé. Dossier Brasile, parte I

Abbiamo incontrato, domenica 9 aprile, a margine dei lavori durante il Congresso IFA a Massenzatico, due dei tre esponenti presenti della federazione brasiliana, Gustavo e Linguiça. L’interlocutore principale è stato Gustavo che, di volta in volta, traduceva dall’inglese al portoghese per Linguiça e viceversa per noi, le domande e le risposte.

Al fine di chiarire meglio alcune questioni che rientrano in un contesto più complesso, si sono rese necessarie alcune premesse o spiegazioni inserite tra parentesi quadre […] all’interno delle nostre domande o delle risposte dei compagni. Ne risentirà magari la scorrevolezza della lettura, ma per la comprensione dei temi trattati ci è parso indispensabile presentare i diversi argomenti affrontati con un minimo di dati e di accenni storici. Buona lettura…

Umanità Nova (UN) Da quale regione del Brasile provenite e come si chiama la vostra federazione?

Gustavo: Io sono di Rio de Janeiro, Linguiça viene dallo stato di Espirito Santo che confina con quello di Rio de Janeiro, nel sud-est del Brasile. Johnny [del Coletivo Anarcopunk Aurora Negra, e che non era presente al momento dell’intervista ndr], è invece dello stato di San Paolo [São Paulo, situato nella parte sud-occidentale tra l’oceano Atlantico e il fiume Paraná, è lo stato federato più popoloso che contiene il 21,9% della popolazione brasiliana e che genera, da solo, il 33,9% del PIL del Brasile, ndr]. Sono i tre stati più importanti, ma abbiamo compagni anche in altre parti del paese come a Bahia o a Brasilia. La nostra federazione è la Iniciativa Federalista Anarquista-IFA Brasil, benché la “federalizzazione” delle varie realtà locali sia tuttora in corso. [Dall’8 all’11 settembre 2022 nei pressi della città di Cariacica, nello stato di Espirito Santo, si è svolto il 5° Forum Generale Anarchico del Brasile, dopo un’interruzione di alcuni anni dovuta alla pandemia, alla presenza di ventuno gruppi, organizzazioni e movimenti brasiliani – per completezza rimandiamo all’articolo di Federico Ferretti “FGA del Brasile: radici anarchiche, esperienze e lotte popolari” pubblicato su Umanità Nova del 24 ottobre 2022- e durante il quale è stata costituita formalmente la federazione anarchica regionale dello stato di Espírito Santo (Federação Anarquista Capixaba), di cui fa parte Linguiça. Nel 5° FGA in Brasile ha avuto luogo, fra l’altro, la seconda CRIFA (Commissione di Relazioni della Internazionale di Federazioni Anarchiche), alla quale hanno partecipato in presenza e da remoto dieci federazioni anarchiche associate: FLA (Argentina), IFA-Brasile, FA (Gran Bretagna), FAS (Sicilia), FA Francofona, APO (Grecia), FAI (Italia), FAI Iberica, KAF (Kurdistan), FAM (Messico), ndr]

UN: Nel vostro intervento al Congresso avete posto l’accento sulle depredazioni coloniali che le vostre popolazioni hanno subito nei secoli. Come descrivereste questo processo e di quali ricchezze del suolo, ad esempio, si sta parlando?

Gustavo: Il Brasile ha diverse ricchezze naturali, ad esempio è pieno di minerali, in primo luogo l’oro, che hanno attratto già i primi colonizzatori portoghesi. Poi c’è il Pau Brasil, l’albero che ha dato il nome al paese [nome popolare in portoghese della Caesalpinia echinata, un albero originario della foresta vergine, la Mata Atlântica, che ricopriva completamente le regioni litoranee del Brasile, ndr], il cui legno rossastro ha la proprietà di colorare l’acqua di rosso e che viene usato in commercio come pianta tintoria ad esempio nell’industria conciaria. È un legno duro, per cui è molto usato anche in ebanisteria; se ne ricavano, ad esempio, oltre a mobili e vari manufatti, strumenti musicali. Attualmente è una pianta in via di estinzione, visto lo sfruttamento selvaggio dovuto al capitalismo. I colonizzatori chiamavano “selvaggi” gli indigeni, quando erano loro i selvaggi…Il Brasile ha tante risorse naturali: è ricco di acqua, ha tanti tipi di piante e di specie animali; come detto, ha molti minerali [oltre ai giacimenti d’oro, ferro, manganese, bauxite, stagno, niobio, nichel e diamanti e carbone, è uno dei maggiori produttori mondiali di acciaio e petrolio, ndr]; ha le condizioni climatiche ideali per la crescita delle piantagioni [tra cui quelle di soia, mais, caffè, canna da zucchero, arancia, cotone, tabacco, ananas, cacao e anacardi, ndr], la stragrande maggioranza dei prodotti delle quali vengono esportati e non servono a nutrire le nostre popolazioni, o peggio, vengono distrutte per far spazio alle monocolture per alimentare l’industria zootecnica degli allevamenti intensivi [essenzialmente manzo e carne di pollo, ndr], come anche attraverso la deforestazione e la conseguente distruzione dei diversi ecosistemi locali. Colture che non rappresentano cibo, ma che sono delle commodities.

Molti dei vecchi latifondi sono stati convertiti in aziende moderne, si è passati dalle rendite fondiarie alla gestione imprenditoriale di migliaia di ettari di terra. Ciò ha comportato un aumento sostanziale della produttività, rendendo il Brasile un produttore e soprattutto esportatore mondiale di prodotti che è bene definire “agro-industriali”. Impianti di monocoltura hanno sostituito le vecchie colture e oggi il settore agro-industriale brasiliano rifornisce le grandi multinazionali del cibo come Nestlé, Unilever, Bunge, Kraft e Cargill, dei biocombustibili [il Brasile è oggi il secondo produttore mondiale di biocarburanti, ndr] e delle manifatture.

UN: Cosa ci potete dire circa la silvicoltura intensiva, in riferimento alla monocoltura dell’eucalipto, il “deserto verde” di cui parlano gli osservatori brasiliani, che rappresenta un affare per le aziende multinazionali dell’agrobusiness, ma che ha inciso anch’esso sulle comunità rurali e sui popoli indigeni, poiché ha un impatto sull’ambiente e la biodiversità? [Gli usi del legno di eucalipto vanno dalla trasformazione in carbone e dal conseguente utilizzo come combustibile nelle acciaierie, alla produzione di cellulosa e di semilavorati per l’edilizia. La domanda di materie prime derivanti dalla silvicoltura è in costante crescita, ndr]

Gustavo: Si tratta del reflorestamento (riforestazione) con l’eucalipto, una pianta che cresce 10 volte più velocemente del pino e assorbe enormi quantità idriche dal terreno, impoverendolo. È iniziato negli anni ‘70 e man mano si è espanso fino ad occupare vaste zone del nord-est, sud-est e sud del paese. Per operare questa riforestazione hanno allontanato dai loro territori le comunità locali, accaparrandosi le loro terre per metterci monocolture di eucalipto e tanti piccoli agricoltori, la cui superficie coltivabile si era drasticamente ridotta, hanno finito per accrescere la disoccupazione, la sottoccupazione o il lavoro schiavo (pratica, tristemente diffusa nelle campagne brasiliane), la criminalità organizzata o la massa di disperati di qualche favela.

UN: È il fenomeno del landgrabbing (“accaparramento di terre”) come accaduto per l’Amazzonia. A cacciare gli indigeni e i contadini da territori di una straordinaria biodiversità sono state soprattutto le grandi aziende agroalimentari, che in primis beneficiarono dello sfruttamento dell’Amazzonia – a partire dalla creazione della Trans-Amazzonica da parte della giunta militare negli anni ‘70, che apriva allo sviluppo economico al fine di “integrare l’Amazzonia alla nazione”, come ripetuto dallo stesso ex presidente fascista negazionista Bolsonaro durante la propaganda per le presidenziali del 2018 – coi loro allevamenti intensivi, frutto di una catena di occupazione sempre maggiore delle terre da parte di allevatori, col disboscamento e la vendita di migliaia di chilometri di foresta pluviale ai grandi agricoltori (fazendeiros), per allevare e fornire prodotti alimentari da esportare soprattutto in Occidente, come avete detto. A ciò vanno aggiunti l’estrattivismo minerario e la vendita di legname selvaggi da parte della criminalità organizzata in Amazzonia, cresciuta enormemente durante la presidenza Bolsonaro, e gli interessi economici da parte dei governi locali, ma anche di gruppi paramilitari e narcotrafficanti che hanno danneggiato ulteriormente i territori indigeni.

Eppure i quasi 200 milioni di abitanti del Brasile sono distribuiti su una gigantesca superficie di 8.516.000 km² in modo fortemente squilibrato. La densità è più alta sul litorale e nell’entroterra del centro-sud, mentre è più bassa nel nord-ovest. Brasilia, la capitale modernista artificiosamente creata su un altopiano nell’entroterra nel 1960, oggi ha poco più di 3 milioni di abitanti, mentre Rio de Janeiro ne conta circa 6,7 milioni e São Paulo addirittura poco più di 12 milioni. Che città è e chi vive a Brasília?

Gustavo: Brasília, almeno il suo nucleo, era una città molto piccola comparata a quelle che chiamiamo le sue città satellite, chiamate così perché orbitano intorno alla capitale. A Brasília, o meglio nelle sue città satellite, vivono coloro che l’hanno costruita…Come avete detto è una città artificiale. Già all’inizio, nel 1956, vennero rapidamente molti migranti a cercare lavoro e migliori condizioni di vita, i cosiddetti candangos, che improvvisarono degli accampamenti intorno ai cantieri per poi venir trasferiti nelle città satellite come Taguatinga, che dista 25 chilometri dal centro di Brasília. Il centro istituzionale è appannaggio della classe dominante impiegatizia e burocrate, mentre le città satellite come Sobradinho (1959), Gama (1960), Núcleo Bandeirante (1961), l’ex Cidade Livre, Guará (1968), e Ceilândia (1971) sono state via via create dal 1958 al 1971 per permettere il trasferimento e il reinsediamento delle famiglie, tenute a debita distanza dal centro, seguendo la logica che rifiuta la mescolanza delle classi sociali della città e dei suoi spazi pubblici. Brasilia, in realtà, è composta da tutte queste città.

UN: Torniamo per un attimo al processo di colonizzazione

Linguiça: Il processo di colonizzazione fu piuttosto violento; furono sterminate tantissime persone che vivevano nell’abbondanza. La concentrazione di territori e potere da parte dei colonizzatori che si sono susseguiti, ha impedito qualsiasi riforma agraria. Ai primi, i portoghesi, si sono poi aggiunti dei nuovi, come gli olandesi o i francesi. Il Brasile divenne indipendente nel 1822 non grazie a una battaglia di liberazione, ma perché Dom Pedro [principe reggente del Brasile dal 1821 e figlio del re Dom João – la famiglia reale, in seguito all’occupazione del Portogallo da parte di Napoleone nel 1807 si era trasferita in Brasile, per poi ritornare a Lisbona nel 1820 allo scoppio della rivoluzione liberale – ndr] si ribellò alla madrepatria, proclamando l’indipendenza della colonia e sé stesso imperatore (Dom Pedro I). Durante il XIX secolo cominciò il processo di “bianchizzazione” del Brasile, attraverso una massiccia immigrazione dall’Europa e contemporaneamente un’intensa importazione di schiavi africani destinati al lavoro nelle piantagioni…

UN: Per volontà di chi?

Gustavo: Fu l’ultimo regnante (Pedro II) portoghese ad attuare questo processo.

UN: Ieri sera (sabato 8 aprile) al Congresso avete accennato all’eurocentrismo. Agganciandoci alla storia coloniale del Brasile, cerchiamo di capire meglio; oggi, nei paesi dell’America Latina, ci sono degli studi che parlano di “decolonialità”, un concetto diverso rispetto a quelli di decolonizzazione e post colonialismo. La decolonizzazione, che è l’indipendenza delle istituzioni politiche dei paesi sottoposti alla colonizzazione europea, in Brasile è avvenuta tramite gli stessi colonizzatori…i loro discendenti creoli bianchi hanno dunque rotto con gli imperi coloniali, ma le loro élite hanno mantenuto saldamente il potere, proseguendo nella marginalizzazione razzista degli indigeni e degli afrodiscendenti, e nell’espropriazione dei territori indigeni. In pratica, secondo la critica internazionalista, hanno riprodotto all’interno dei nuovi stati i modelli degli stati europei. La decolonialità che denuncia quella che viene chiamata la “coscienza creola bianca”, si occupa di relazioni di potere ancora esistenti, unendo alla teoria la prassi delle lotte; è un percorso che si innesta nelle pratiche dei movimenti indigeni ed afrodiscendenti. È una decolonizzazione che prende spunto dai saperi indigeni. La decolonialità rappresenta una rottura con il pensiero critico occidentale frutto della visione di bianchi, europei ed eurocentrici e fa, invece, riferimento alle pratiche indigene, al fine di costruire rapporti rispettosi tra gli esseri umani.

Un’altra visione da cui prende decisamente le distanze l’approccio decoloniale è sicuramente quella degli studi post coloniali, di cui Edward Said è l’esponente più noto, i quali individuano nella dimensione indigena, esotica, un pericolo per l’identità di chi si riconosce nelle culture europee colonialiste. L’approccio decoloniale critica gli studi postcolonialisti che interpretano in maniera pregiudiziale la cultura indigena, partendo da false premesse, eurocentriche appunto, e distorcendone i contenuti. Ma anche la questione coloniale rientra nella lotta di classe su scala mondiale. Al Congresso IFA, uno dei due compagni curdi del KAF presenti ha ribadito che “esiste un solo grande stato mondiale oppressore”. Che ne pensate?

Gustavo: Innanzitutto noi siamo a tutti gli effetti in una guerra di classe. Il lavoro degli schiavi nelle piantagioni è stato sostituito da nuove forme di sfruttamento come l’impiego temporaneo di forza lavoro, che in molte regioni del Paese non offre protezione assistenziale e sindacale ai lavoratori. In alcune zone il lavoro forzato esiste ancora, le condizioni di lavoro sono pietose e la forza lavoro minorile non viene risparmiata. L’eliminazione dell’agricoltura di sussistenza [L’agricoltura di sussistenza è l’opposto dell’agricoltura commerciale, in cui tutto il raccolto è destinato al commercio. La maggior parte dei raccolti viene consumata all’interno della famiglia e solo una piccola parte del raccolto può essere lasciata per il commercio, ndr] ha portato masse di contadini a migrare verso le città sovraffollate in cerca di un lavoro e di un futuro inesistenti…

Per quanto riguarda l’Europa, l’anarchismo europeo nasce come soluzione ai problemi creati dagli stessi stati europei che all’epoca erano delle monarchie. Noi non avevamo questi problemi prima che gli europei arrivassero in Brasile. Non eravamo perfetti, sicuramente, ma non c’era questo tipo di conflitto di classe che hanno portato gli europei. Le comunità erano autonome e non avevano problemi climatici o di scarsità di cibo. Le soluzioni ai problemi erano soluzioni dei nativi, indigene, provenienti dalle loro esperienze. Oggi condividiamo lo stile di vita europeo o meglio, nordamericano, del “Nord globale” e condividiamo gli stessi problemi che avete voi.

UN: Ve li abbiamo portati noi europei vuoi dire..

Gustavo: Sì. E anche per noi l’anarchismo è una delle soluzioni ai problemi, ma non la sola. Mi spiego meglio: ci sono diverse forme di anarchismo e “l’indigenismo” è una di queste. Non sono incompatibili anarchismo e indigenismo. Entrambe sono forme di lotta capaci di attirare delle forze conflittuali contro gli oppressori, capitalisti e colonizzatori.

Due compagni della redazione

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